Pensioni, Dpef e crescita economica

 

di Emanuela Melchiorre – 31 luglio 2007

Come ha sostenuto il Commissario Ue agli Affari economici e monetari, Joaquin Almunia, in una sua recente dichiarazione, per commentare l’accordo sulle pensioni raggiunto in Italia, la spesa per le riforme delle pensioni nel nostro paese è attualmente tra le più alte nell’Unione europea ed è pari al 14% del Pil. Questa gravosa incombenza, egli sostiene, pone a rischio la sostenibilità nel lungo termine della finanza pubblica. Egli sostiene, inoltre, che rimangono in sospeso alcuni aspetti di fondamentale importanza. In primo luogo il nodo sulla copertura finanziaria necessaria per sostituire lo scalone previdenziale della riforma Maroni con il sistema a «scalini e quote» proposto dall’attuale governo. A tal proposito, c’è stato, da parte di Almunia, un vivo invito a non aumentare ulteriormente le imposte per fare fronte alle maggiori spese previdenziali. In secondo luogo, il Commissario Ue non è convinto della effettiva coerenza della revisione dei coefficienti di trasformazione proposti dall’Italia.

La riforma delle pensioni è una priorità oramai non dilazionabile. L’allungamento della vita media delle persone comporta, in proporzione, un aumento della vita non lavorativa e quindi non contributiva e, di conseguenza, un allungamento del periodo in cui il lavoratore percepirà la pensione. Ne consegue un aggravio delle spese per la previdenza che avranno come risultato l’insorgere di esigenze di ampliamento delle modalità di sostenibilità del sistema pensionistico. Per compensare tali effetti negativi occorre introdurre, infatti, modifiche nella modalità del finanziamento del sistema pensionistico o nella durata della vita lavorativa, o, infine, agire su entrambi gli aspetti allo stesso tempo.

È necessario però sostenere che le riforme del sistema pensionistico sono comunque vane nel caso in cui un paese non cresca nella sua ricchezza. La crescita del Pil dell’1,5%, o di valori inferiori, che ha caratterizzato l’economia italiana di questi ultimi due decenni, non garantisce la copertura sufficiente delle spese per il pensionamento. Per risolvere il nodo delle pensioni non ci si può limitare a ricorrere esclusivamente alla riforma del sistema e all’allungamento della vita lavorativa. La soluzione risiede nella crescita economica del paese che permetterebbe un maggior grado di copertura delle spese senza aggravio per i lavoratori. Ma la crescita economica si realizza aumentando la produttività del lavoro mediante investimenti in tecnologia, in ricerca e sviluppo. Per incentivare l’investimento occorre ridurre la pressione fiscale che grava sul sistema economico, imprese e famiglie, e ne impedisce la crescita. Quindi, prima ancora di riformare il sistema pensionistico, si dovrebbe agire sul sistema produttivo del paese, facendo particolare attenzione alla produttività del lavoro.

Non sembra che il disegno dell’attuale Dpef, il documento di programmazione economica e finanziaria, che ha superato l’approvazione del Senato, e che verrà discusso alle Camere, possa perseguire la via di crescita economica sufficiente del sistema economico italiano. In primo luogo, è stato redatto sulla base di informazioni economiche che hanno dato spazio a discussioni e dubbi, come le dichiarazioni degli istituti di rilevazione economica e statistica nazionali che hanno sostenuto una crescita dell’economia italiana per quest’anno ampiamente sopravvalutata rispetto alla realtà. Dichiarazioni quest’ultime, ampiamente criticate dal Fondo monetario Internazionale. Così come le rilevazioni sull’andamento dei consumi del primo e secondo trimestre. In secondo luogo ci si chiede come si possa perseguire un percorso di crescita economica quando le grandi opere pubbliche e private, che il precedente Governo aveva approntato, siano tutt’ora sospese se non impedite.

Le stime per l’andamento dell’economia italiana per l’anno 2008 sono pessimistiche. Si sostiene, infatti, che la crescita del pil si aggirerà sull’1,7% e quindi inferiore alla crescita del 2007 e soprattutto all’aumento del Pil per l’eurozona, per cui ci sarà un ulteriore distacco dagli altri paesi dell’area dell’euro, che nell’insieme non sono riusciti ad agganciarsi alla fase espansiva del commercio internazionale e a tenere il passo con l’economia degli Stati Uniti. C’è oggi il pericolo che l’eurozona subisca il rallentamento dell’economia internazionale temuto per i prossimi mesi, per cui le previsioni di crescita del Dpef per il prossimo anno appaiono molto aleatorie. In breve, il sistema economico italiano rischia di subire un forte contraccolpo, tale da richiedere una Finanziaria con molti sacrifici, essendo il governo in carica incapace di tagliare le spese pubbliche centrali e locali che gravano sull’economia e la deprimono, senza dare slancio al sistema produttivo. Si evince sul piano economico e sociale, oltre che su quello politico, la necessità di un nuovo governo all’altezza dei molti problemi da risolvere.

Emanuela Melchiorre 

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